20131020-101324.jpg C’è di meglio che doversi giocare a ogni partita il proprio futuro, ma c’è anche di peggio: subire una dura sconfitta, pur non demeritando, nel primo match clou della stagione. L’ombra sul Napoli tornato da Roma non è solo quell’uno-due all’Olimpico ma la piccola catena di dubbi che stringe adesso in una morsa squadra e allenatore. In sostanza, il momento è grave ma non drammatico, purché soprattutto i tifosi accettino la realtà: la squadra è competitiva, ma non eccezionale, vanta due o tre ottimi elementi (non molto di più), a tutt’oggi è lanciata per i primi posti del campionato e ha davanti a sé una Champions ancora da giocare. Poggia su una spina dorsale che comincia con Reina, passa per Hamsik e termina con Higuain. Ovvio che se due snodi su tre hanno punti di collasso, allora ci si piega e succede quanto evidenziato con la Roma. E se addirittura l’intera struttura rischia di franare, accade quanto di brutto e da dimenticare visto in Arsenal-Napoli. Eccoci allora alla domanda. Immediata. Che fine hanno fatto Hamsik, implacabile centrocampista capace di tagliare le difese avversarie come il diamante, e il portentoso Higuain, prima punta in grado di iniziare e concludere l’azione d’attacco? Le risposte s’inseguono l’una dietro l’altra. C’è chi parla di preparazione inadeguata: troppo pallone e poca palestra, altri alludono a infortuni inguaribili, altri ancora fanno riferimento alla paura di assumersi responsabilità quando il gioco si fa duro e decisivo. Il più delle volte sono, però, spiegazioni spesso contaminate da leggende metropolitane. Proprio in questi casi bisogna frenare la tentazione di buttare via il bambino assieme all’acqua sporca. Perché il Napoli, a Roma, ha dimostrato che la sua manovra, creata per imporre il gioco piuttosto che subirlo, ha costretto nell’angolo, per 60 e più minuti, la squadra oggi più celebrata e vincente del campionato (ventidue gol fatti, uno subìto). E che è possibile consolidarsi intorno a un progetto tattico propositivo. E che partite come quelle contro il Borussia e contro il Milan sono la dimostrazione della bontà di una filosofia di gioco tutt’ora valida. Occorre, dunque, riprendere atleticamente Hamsik, il meno brillante del gruppo, e dissolvere il mistero del malanno (lesione muscolare che si riacutizza?) Higuain. Il Pipita non sembra più lui da quello scampolo di partita contro il Genoa. Non sarà difficile l’operazione recupero per lo staff sanitario del Napoli, da anni ormai specialista in riabilitazioni lampo andate a buon fine. L’ultima, in ordine di tempo, è quella che riguarda Maggio, forse tatticamente in difficoltà ma completamente ristabilito dopo l’intervento al menisco. Se fossimo in Benitez penseremmo, però, a sciogliere un ultimo dubbio: la posizione di Hamsik, centrocampista classico o incursore con elevato senso dell’inserimento. Il dilemma andrebbe chiarito senza pretendere che il nostro, un tempo, messia delle situazioni difficili risolva da solo ogni problema. Marek è molto forte ma ha pure dei limiti, imprevedibile nel bene e nel male, e quest’anno quasi mai definitivo. Affidarsi soltanto a lui per entrambi i ruoli può essere una risorsa o una scusa. Nell’imminente serata di Marsiglia, che deciderà quasi tutte le opzioni per il prosieguo della Champions, si dovrà ricominciare proprio dal ripristino del fattore HH che sinora ha inciso poco. Perché, a parte il fatto che i malanni di crescita si risolvono solo con lo sviluppo, all’allenatore del Napoli non può sfuggire che la sua squadra è diventata sì più qualitativa, ma non è ancora così formidabile. Avrà pure dei fisiologici limiti di testa, però non c’è da trascurare qualche piede che ancora non va. E se sarà il caso, mica per niente, con i soldi della Champions se ne potrebbero comprare di nuovi, non solo a centrocampo e in attacco. di Toni Iavarone
Fonte:Ilmattino