Eliana Del Prete

Esiste un universo misterioso e sconosciuto, l’Aldilà, che da secoli rappresenta, nell’immaginario dei napoletani, un luogo dove superstizione, fede e scaramanzia s’intrecciano per onorare – secondo una viva e popolare tradizione – il culto dei morti. Tra edicole sacre, statue votive e altarini che fanno bella mostra di sé tra i vicoli del centro storico, sorge un edificio mistico dove è possibile ammirare la Chiesa di Santa Luciella ai Librai. Luogo di culto, questo, da sempre deputato ad accogliere uno scambio confidenziale tra il mondo dei vivi e le cosiddette anime “pezzentelle”.


Correva l’anno 1327 quando Bartolomeo Di Capua, giureconsulto e consigliere di Carlo II d’Angiò e Roberto d’Angiò, volle fondare l’edificio sacro dedicato a Santa Lucia, protettrice della vista, che poi, secoli più avanti, sarebbe diventato luogo di culto della Corporazione dei Pipernieri, Tagliamonti e Fabbricatori che, proprio per il mestiere da loro svolto, andavano spesso incontro ad incidenti in cui venivano coinvolti gli occhi, feriti da schegge e altro materiale. Di qui, l’iniziativa di affidarsi alla Santa per protezione.
Se oggi possiamo ammirare le vestigia delle manifestazioni di devozione dei napoletani in quel luogo, nei confronti dei defunti, in rituali talvolta anche di sapore precristiano, lo dobbiamo alla passione e all’impegno di giovani napoletani che, attraverso l’Associazione culturale Respiriamo Arte, nel 2013 hanno messo in moto una macchina atta a recuperare un monumento oramai completamente lasciato all’abbandono e all’incuria dopo i danneggiamenti subiti con il terremoto del 1980. Angela Rogliani, Simona Trudi e il presidente Massimo Faella, grazie al loro costante impegno, sono riusciti a sensibilizzare alcuni enti che hanno permesso, attraverso fondi elargiti, di mettere in sicurezza l’edificio sacro e, almeno per la facciata, eseguire il restauro della stessa.

La visita della piccola, ma suggestiva, chiesa, ancora consacrata, comincia con l’altare di Santa Lucia dove è possibile ammirare i resti di splendide decorazioni seicentesche per poi concludersi nell’ipogeo. L’ambiente sotterraneo, reso visitabile dopo un immane lavoro di pulizia da parte dei volontari dell’associazione, ci mostra il luogo dove venivano inumati i membri dell’Arciconfraternita ed i loro familiari. La pratica che veniva utilizzata per la sepoltura era la “scolatura”. Diffusa a partire dalla metà del 1600, consisteva nell’adagiare i corpi sulle “terre sante” dopo avergli bucato collo, bacino e ascelle per drenare i liquidi e consentire l’essiccatura del cadavere. I corpi venivano poi riesumati ed esposti nelle nicchie per essere mostrati alla devozione dei fedeli. Essiccati ben bene, i resti del defunto venivano messi nella fossa comune al di sotto del cimitero mentre le teste venivano poste su mensole in alto. Attualmente si contano una ventina di teschi tra cui quello singolare “con le orecchie”, ritenuto da sempre dai napoletani medium preferenziale con l’aldilà. I fedeli scendevano in questo luogo per pregare a tu per tu con questi crani, talvolta scegliendone uno in particolare, poiché in essi il popolo intravedeva un tramite per pregare per le anime del purgatorio.

Le preghiere servivano – un tempo come oggi – per far giungere le anime dei propri defunti in Paradiso e, una volta giunti lì, che potessero intercedere ed esaudire una richiesta di grazia. Questo spiega la presenza dei numerosi ex voto appesi alle pareti, nonché oggetti e bigliettini. Il teschio al quale venivano rivolte maggiori preghiere era appunto quello con le orecchie, ritenuto essere , proprio per la particolarità che lo contraddistingue, il più idoneo ad “ascoltare” le suppliche dei fedeli. Solo un anno fa, studi eseguiti sul cranio, hanno evidenziato la presenza di una patologia ossea che affliggeva il defunto. Una sorta di “scollamento” di alcune ossa che si prestavano ad essere “interpretate” come orecchie.
Grazie a Respirare Arte è possibile visitare Santa Luciella tutti i giorni e, ogni mercoledì e week end, è possibile incontrare “ciceroni d’eccezione”, come Alfonso, appartenenti a Scintilla Onlus. La mission dell’associazione sostenitrice è infatti quella di restituire alla città un bene da utilizzare per finalità sociali e culturali, oltre che preservare un patrimonio che non può e non deve andare perduto.

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