Home Interviste Roberto Turatti a The Club Dance e Italo Disco di Marco Graziosi dj: “Esiste solo la musica che emoziona, non quella giusta o sbagliata”

Roberto Turatti a The Club Dance e Italo Disco di Marco Graziosi dj: “Esiste solo la musica che emoziona, non quella giusta o sbagliata”

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di Eliana Del Prete
 
Roberto Turatti non ha bisogno di molte presentazioni per chi ha vissuto la musica italiana tra gli anni ’80 e ’90. Musicista, produttore, autore, compositore e storico collaboratore di big come Den Harrow, Albert One, Sandy Marton, è stato tra i principali artefici del suono Italo Disco che ha conquistato l’Europa e il mondo.
 
Ideatore di hit leggendarie come “Mad Desire”, “Don’t Break My Heart”, “Future Brain” e “People from Ibiza”, Turatti ha anche firmato alcune delle sigle televisive più amate dagli italiani, come quelle scritte per il tg satirico “Striscia la notizia”.
Autore del libro autobiografico, “50 anni di musica e sentimenti” un’opera che ripercorre la sua lunga carriera attraverso ricordi, riflessioni e testimonianze, Turatti si racconta a The Club Dance e Italo Disco, condotto da Marco Graziosi dj nel consueto appuntamento del mercoledì pomeriggio.
Qui, l’icona sacra della musica, racconta la sua storia artistica e umana partendo dai primi passi con una band di amici, passando per l’incontro con Enrico Ruggeri e la nascita dei Decibel, fino ai grandi successi degli anni ’80 con Den Harrow, le partecipazioni a Festivalbar e Sanremo, e le sigle cult per la TV come Striscia la Notizia.
 
“Ho prodotto di tutto, dal liscio al reggae. La musica non si giudica, si vive”. Così, il poliedrico artista, manifesta la sua grande passione per la musica, raccontandosi agli amici della Old Family Yung di Marco Graziosi.
“Non ho mai avuto una preferenza di genere in particolare. Ho prodotto dal liscio all’Italo disco, ho fatto persino reggae, come nel caso di Papa Winnie. Il punto è che rispetto tutta la musica. Non esiste musica bella o brutta, esiste la musica che piace e quella che non piace”.
 
Ha collaborato con tantissimi artisti; chi l’ha colpita di più sul lato umano e professionale?
 
“Sul lato artistico tutti. Anche sul lato umano, devo dire. Certo, Dan Harrow per me è stato come un figlioccio. Albert One invece era un fratello. E anche con gli artisti con cui collaboro oggi, ho un ottimo rapporto. Gli artisti sono particolari proprio perché sono artisti”.
 Quando si lavora in team, come e dove nascono le eventuali divergenze tra artisti e come si superano?
 
“All’inizio producevamo da soli, poi abbiamo avuto un nome, siamo diventati famosi, e chi lavorava con noi non obiettava nulla. Quando poi si passa a produrre artisti già affermati, il produttore non deve imporsi, ma trovare una sinergia. Il problema nasce quando il progetto ha successo e l’artista comincia a voler fare di testa sua. È lì che servono equilibrio e maturità.”
 
Quale potrebbe essere una buona lezione per le nuove generazioni?
 
“Mi piacerebbe che a scuola si insegnasse la musica partendo dalle sue origini, dalla sua funzione sociale e culturale. Solo così si può capire davvero perché una canzone colpisce, perché una melodia resta, perché certi suoni attraversano i decenni.”
 
Un aneddoto curioso inerente la nascita di una canzone?
 
“Sicuramente quello legato alla canzone “C’è da spostare una macchina”, nata al citofono. Era ormai prassi che, durante gli incontri di lavoro o in studio, si dovesse spostare una macchina. Un giorno eravamo a pranzo con Francesco Salvi mentre lavoravamo su una base a cui mancava il testo. Suona il citofono e sentiamo: “C’è da spostare una macchina!”. E noi: “È un diesel?”. Pensavamo fosse Salvi che faceva una battuta. Invece no, era uno del passo carraio di fronte, che risponde: “Non lo vedi il passo carraio?’ ’Insomma, da quella scenetta totalmente casuale è nato il testo del brano. La musica sa anche essere gioco, improvvisazione e puro divertimento.”
Roberto Turatti è la prova vivente che la musica non è fatta solo di note, ma di intuito, di passione e di incontri umani. Che si tratti di Italo Disco, reggae, liscio o sigle televisive, la sua visione aperta e rispettosa ha costruito una carriera longeva e coerente. E oggi, con il suo libro e la sua testimonianza, continua a insegnare che la musica che vale è quella che lascia un’emozione.