“Ahi tremendo!…ahi crudo fato!…
Dio, perdona un tanto error..”
Un’ultima, vibrante ed intensa nota e giù la tela sull’Opera di doninzettiana firma, sapientemente interpretata da una compagnia di indubbia bravura. Siamo al Carlo Felice di Genova in un freddo sabato sera di febbraio e la rappresentazione è la più nota ed emozionante “Lucia di Lammermoor”, pièce capace di riscaldare i cuori e le menti tanto ai “palati fini” del partérre del teatro, quanto ai quaranta popoli diversi sparsi nel mondo collegati in diretta streaming, grazie all’ iniziativa singolare del teatro stesso. Una rappresentazione da fruire attraverso un insolito e sorprendente accostamento artistico che vede la regia di Dario Argento, maestro nel genere horror, che abbandona il suo stile per dar vita ad un’opera traboccante di amore.
Suggestive e commoventi le performances dei due protagonisti; una Lucia ineccepibile che vede come interprete la bravissima Desirée Rancatore, da mozzafiato nella ” scena della pazzia “ , ed in fine ma non per merito, un Edgardo perfetto che nell’internazionale ed unico Gianluca Terranova ha visto un interpretazione magistrale, soprattutto emozionante e struggente in “ Tu che a Dio spiegasti l’ali “ si avvertiva quel trasporto dell’amante distrutto dal dolore per la perdita della sua amata, confermata dal rintoccare delle campane a morte e che raggiunge il culmine con l’estremo gesto di del protagonista che si trafigge il petto con il pugnale. A morte avvenuta si vede che teneramente gli amanti si ricongiungono in un immaginario e tenero viaggio dopo la morte, espressione di una lettura personale del regista.
E che dire delle scene del maestro Enrico Musenich, con particolare riferimento all’effetto ottenuto dalle foglie secche le quali, al calpestio degli artisti riproducevano l’effettivo rumore del sottobosco.
Impeccabile l’orchestra, diretta dal maestro Gianpaolo Bisanti.
Suggestiva l’introduzione del mimo che raffigura l’anima di una donna che ha trovato la morte nella folle gelosia del suo amante e che ha messo a nudo – nel vero senso del termine – l’eterea figura di Fabiola Di Blasi che, nelle movenze e nella gestualità non è mai caduta nel volgare. Il regista, grazie al suo estro ha pefettamente riprodotto attraverso i costumi – e semi nudo – scene e luci di quel quadro ottocentesco richiesto per la rappresentazione dell’ opera.
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