di Massimiliano Del Prete
L’associazione Getta la Rete riapre ai visitatori il luogo dove è possibile, fra l’altro, ammirare la terza ampolla del sangue di San Gennaro
Ci sono luoghi a Napoli, entrando nei quali la nostra anima si riunisce al retaggio culturale e religioso insito nel nostro profondo. Luoghi che sentiamo ci appartengono e con i quali abbiamo una viscerale interconnessione.
Il Complesso Monumentale Vincenziano nel Borgo dei Vergini, nel cuore del rione Sanità, è certamente uno di questi.
La struttura, che comprende la meravigliosa chiesa di San Vincenzo de’ Paoli, opera di Luigi Vanvitelli e ribattezzata la “chiesa più luminosa di Napoli”, è rimasta inaccessibile ai visitatori per molti anni e, solo grazie all’impegno profuso dall’associazione culturale Getta la Rete, ha riaperto le porte al pubblico restituendo questo autentico tesoro ai napoletani. La Dott.ssa Giovanna Moresco, presidentessa dell’associazione, ci ha sapientemente guidato alla scoperta di questo luogo, nel quale misticismo e mistero, cultura, arte e tradizione si intrecciano indissolubilmente alla storia della città partenopea.
La storia dell’istituzione del complesso risale al 1669, quando il cardinale Innico Caracciolo invitò in città i Padri Missionari, guidati da padre Cosimo Galilei, nipote diretto del celebre Galileo Galilei. Fu l’inizio di un progetto che, nel corso del Settecento, avrebbe trasformato il quartiere grazie alla generosità di Maria Giuseppa von Brandis Staremberg, duchessa di Sant’Elia. Le donazioni della nobildonna austriaca, figura devota e serva di Dio, permisero l’espansione della Casa della Missione, con l’ambizione di creare un’isola di spiritualità nel Borgo dei Vergini. I lavori di ampliamento iniziarono nel 1724 sotto la guida di padre Andrea Garagni, ma fu l’intervento dell’architetto Luigi Vanvitelli, tra il 1753 e il 1760, a dare al complesso la sua impronta distintiva. La costruzione, completata nel 1760, vide l’aggiunta della facciata della chiesa solo nel 1788, progettata da un architetto sconosciuto. L’espansione inglobò diverse proprietà adiacenti, dando vita a nuovi spazi come la Sala dell’Assunta, l’Oratorio d’Estate e la chiesa dedicata a San Vincenzo de’ Paoli, accessibile dall’esterno. Ed è proprio nella cripta sottostante la chiesa che è possibile ritrovare le spoglie mortali della Duchessa Staremberg che riposano accanto a quelle dell’esimio medico Domenico Cotugno, uno dei padri della scienza medica moderna. Cotugno, considerato “l’Ippocrate napoletano” per la sua competenza medica, e venerato come una sorta di “divinità”, tanto che nel settecento fu coniato il detto “che a Napoli nessuno poteva morire senza il suo permesso”. Delle spoglie dell’illustre scienziato si erano perse le tracce in seguito ai bombardamenti del 1943 e sono state ritrovate proprio grazie alle ricerche condotte dall’associazione Getta la Rete e da due studiosi, come ci ricorda una targa affissa vicino alla tomba presente nell’ipogeo.
Lo straordinario viaggio continua quando la nostra guida ci apre le porte del sancta sanctorum del complesso Vincenziano. Una camera che contiene incredibili reliquie conservate in tabernacoli dorati allineati in monumentali vetrine presenti su tre pareti della stanza, fino a raggiungere il soffitto.
Tra questi spicca il “Quadro dell’Anima Dannata”, un’opera enigmatica, probabilmente toscana del XVIII secolo, che raffigura un Cristo crocifisso in un’atmosfera drammatica. A catturare l’attenzione sono le due impronte, che letteralmente bruciano la tela lambendo la figura del Cristo, attribuite dalla leggenda alle mani infuocate di un’anima tormentata. La tradizione narra di una giovane napoletana, abbandonata da un cavaliere che scelse la vita religiosa, il cui spirito sarebbe tornato nella cappella lasciando segni sulla tela e su un inginocchiatoio, oggi custodito altrove. Un’altra versione della storia suggerisce che la donna, pentita di una vita dissoluta, sia riapparsa per ammonire sulla possibilità di redenzione. Questo dipinto assurge a simbolo spirituale. Ne fu testimone Alfonso Maria de’ Liguori, giovane avvocato che, nel 1722, davanti al quadro, abbandonò la carriera legale per intraprendere la via religiosa, diventando poi santo, fondatore dei Redentoristi. Un’immagine nata per incutere timore si trasformò così in uno strumento di salvezza, incarnando il dualismo napoletano tra peccato e grazia.
Ma la più straordinaria reliquia che è possibile osservare in questa camera nella quale si respira una atmosfera unica, è una ampolla contenente il sangue del santo patrono più amato al mondo: San Gennaro.
Giovanna Moresco ci spiega come sia stata ritrovata casualmente, durante il lavoro di riordino e catalogazione dei reperti sacri eseguiti dall’associazione Getta la Rete, questa straordinaria e meravigliosa reliquia che diventa di fatto la terza ampolla contenente il sangue di San Gennaro esistente. L’attribuzione è stata possibile grazie ai documenti originali che accompagnavano il reperto.
La visita a questo scrigno di misticismo e storia è imperdibile, e se si è napoletani, così come successo a noi durante la visita, si sentirà quella connessione dell’animo con la storia e la tradizione che si respira in alcuni luoghi ancora sospesi nel tempo presenti nella nostra splendida Napoli.
Il Complesso Vincenziano non ha aperture al pubblico regolari ma è possibile visitarlo contattando l’associazione Getta la Rete sui social (instagram e Facebook) via email a [email protected] oppure telefonando al 3383448981.